E subito m’imbatto in una pubblicità “di un vero caffè italiano”. Poi, tali pubblicità ci confondono. La trasmissione subliminale ci si diffonde attraverso le cellule, trasuda i pori della pelle, interferisce con gli algoritmi comportamentali. Poi alcuni manipolatori cercano di convincerci che tutto ciò venga da una Forza suprema. La stessa cosa concerne il vino.
Diventando persone, ogni persona con un linguaggio suo che si stava definendo fin dall’infanzia, affrontiamo i modelli e adattiamo a essi il mondo che ci circonda. Poi, nel corso della nostra vita, controlliamo la validità di simboli adottati nella nostra esperienza. Una volta lì, da bambini, abbiamo infilato la parola vino su una bottiglia con un liquido. Poi ci abbiamo aggiunto tutto il resto, il gusto, il terroir, il condizionamento culturale, ma il termine è rimasto com’era nella nostra infanzia. Sempre e ovunque formalmente, si tratta di un v-i-n-o, mentre contiene così tanta diversità.
E ogni volta che ne parliamo, parliamo di uno di tanti elementi. La natura del messaggio però provoca che una parte diventi un tutto, agendo quindi come un simbolo che copre altre parti e quindi parliamo costantemente di qualcos’altro. E in questo modo, costruiamo castelli sul ghiaccio, o sulla sabbia, se preferite.
Quindi passando ad rem e osservando tutti questi vini di cui Parker aveva scritto, così come tutti quelli descritti da Nossiter e molti altri, notiamo che non hanno nulla a che fare con bottiglie di supermercati, negozi residenziali o persino cantine. Inoltre, secondo i criteri sopra menzionati, il vero vino s’incontra soltanto in luoghi in cui si trovano veri produttori. Tutto il resto è una truffa o un’industria per un consumatore di massa.
Pertanto, queste conclusioni sono elitarie e poco ottimistiche. Per conoscere i vini veri, si dovrebbe essere motivati in sé stessi. E le motivazioni vengono con la cultura. Un ignorante non cercherà vini veri. La cultura, d’altra parte, è conoscenza. Un ignorante non si ucciderà nemmeno per vini veri. Per farlo, bisogna anche avere soldi. Un poveraccio, anche se non è né scortese né ignorante, lo sognerà, tuttavia, e cos’allora? Non arriverà da un produttore da qualche parte in Borgogna, perché essendo povero, non avrà soldi per viaggiare. E tutti questi grandi vini di Parigi, Catalunya, Paesi Baschi, California, beh, sono troppo lontani.
Così, rimarranno sempre una realtà virtuale e un sogno in cui neanche un Losada non cadrà dal cielo. Beh, ma la bottiglia di un Losada significa per me un terzo di pensione modesta, quindi anche virtualmente, non potrà soddisfare la mia esperienza fisica diventando una porta d’accesso al paradiso che potrebbe (del resto) nello stesso tempo significare anche l’inferno.
Dopo tali conclusioni, non sorprende più che nel mio paese, dove vivono quaranta milioni d’abitanti, i blog sul vino siano letti da 150 persone. Però ognuna di queste 150 persone aspira a raggiungere l’1 per cento della popolazione mondiale, cioè coloro che possono permettersi l’evacuazione dalla Terra, con un – diciamo – Musk e bere vini veri, ogni giorno.
Così con sogni sui vini veri si crea un’élite, il chè semplicemente vuol dire che l’élite si basa su qualcosa che non esiste, su sogni, premesse, insomma idee. E come bere un’idea?
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