Ancora sul rapporto tra la bottiglia e il bevitore. Come ho già scritto, il vino nella bottiglia è un elemento passivo. Non c’è nessuna scala, nessuna differenziazione, è una materia pura, e la riconosciamo attraverso la nostra attività.
È chiaro che a seconda del ceppo, dell’annata, del metodo di fabbricazione, è a ogni volta diverso, ma la conoscenza di questo fatto non è contenuta nel vino ma in noi stessi. Abbiamo semplicemente bisogno di sapere cosa cigola effettivamente in un erba per poter descrivere lo sconosciuto.
Se non sono a conoscenza dell’esistenza del ceppo, se non so nulla sulla storia della coltivazione o sulle condizioni di fermentazione, non sarò in grado di descrivere degustando, anche perché la descrizione passerà oltre il gergo solitamente utilizzato e come afferma giustamente un lettore in un commento postato sul Facebook, dovrei essere preparato per la degustazione, dunque imparare per interpretare correttamente il gusto.
Un Jesse Pinkman non riconoscerà le qualità del Pomerol e non ho niente contro un Jesse Pinkman, proprio come l’intenditore del vino bordeaux sputerà con disprezzo il vinaccio che Jesse Pinkman ama sorseggiare con i colleghi.
In nessun modo mi aiuterà la coscienza che su una certa scala una tale bottiglia avesse ottenuto 98 punti, perché dovrei essere in grado di fare riferimento a tutte le bottiglie bevute nella vita e poter confrontarle in una collezione più grande. Questo è semplicemente impossibile.
Tali 98 punti possono rafforzare la mia fiducia, una sensazione terribilmente soggettiva che avevo sviluppato in me stesso verso una persona che ha valutato la bottiglia così tanto. Una cosa è certa, a giudicare il vino in bottiglia la persona di cui mi fidavo si riferiva anche alla fiducia, questa volta fidandosi del suo naso e della sua memoria, anche se ancora una volta ciò non aveva nulla a che fare con l’obiettività.
Tutto questo si basa su una sorta di accordo, se volete, sulla fiducia, ma la vera scala esiste dinamicamente dentro di noi e si traduce solo nel fatto che qualcosa ci piaccia o no. E il fatto che questo gusto ci va e un altro no deriva ogni volta da molte variabili.
Naturalmente è possibile indicare le variabili che appaiono costantemente e qui sarebbe opportuno citare la preparazione dell’assaggiatore legata alla conoscenza, alla cultura, all’esperienza, alla quantità e alla qualità di ciò che abbiamo bevuto, ma ce ne sono anche quelle che non siamo neanche in grado di prevedere.
Non è possibile creare modelli basandosi soltanto sull’aspirazione a vivere meglio, tanto meno valutare, per poi imporre valutazioni agli altri.
Ritorno alla scala di Robert Parker Jr, che non ha nulla a che fare con il gusto e che è strettamente legata al mercato del vino in America in quel momento.
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